venerdì 5 giugno 2015

L'ORCO E LA BIMBA POVERA



C'era una volta una bimba molto povera che non aveva nemmeno i vestiti e per coprirsi si doveva  mettere addosso  i sacchi della spazzatura. Viveva in una casetta tutta rotta in mezzo al bosco. Un giorno mentre pascolava il suo gregge passò di lì un terribile orco che aveva dei denti molto grandi e delle orecchie molto sporche ed aveva per mutande solo una foglia di fico.

L'orco le disse che non l'avrebbe mangiata ad una condizione: la bambina avrebbe dovuto dargli una pecora nera e non bianca, grande e non piccola, grassa e non magra. Lei aveva solo cinque pecore  e non poteva dargliene una altrimenti non avrebbe potuto trovare la lana per cucirsi il vestito. 
L’orco allora le disse: 
“Per domani mi devi portare una pecora !”.  
Ormai si era fatta notte e la bimba andò a dormire. Il giorno seguente le pecore si erano moltiplicate. L'orco arrivò di corsa da lei gridando:
”Dov’è la pecora?".  
La bambina vedendo l’orco rispose con dolcezza: 
"Caro orco invece di darti una pecora potrei cucirti un vestito". 

Lui ci pensò un po', aveva freddo e l'inverno stava per arrivare, un bel mantello sarebbe stato utile. Alla fine accettò l'accordo. La bimba fece due vestiti uno per lei e uno per l’orco che la ringraziò. 



Fiaba scritta da Francesco Tassotti


A COLPI DI BOLLE (racconto scritto dalla 5° di Lapedona, disegni realizzati dalla 5° di Monterubbiano)

Era un'estate calda e afosa. Noi bambini dopo aver fatto pranzo andavamo al parco di Lapedona dove ci arrampicavamo sugli alberi e facevamo degli scherzi alle persone che passavano sotto. Un giorno ci ritrovammo tutti insieme e ci accordammo per costruire delle casette sopra un albero. 


Ad un tratto dei costruttori con dei progetti in mano e con le motoseghe, si avvicinarono a noi e ci chiesero con voce arrogante: 
“ Vi potete spostare? Abbiamo del lavoro da fare! Via mocciosi!”. 
Allora noi rispondemmo: 
“Perché?”. 
Ed essi ripresero: 
“Dobbiamo tagliare questi alberi per costruire un supermercato, quindi andatevene!”.

Noi ce ne andammo a testa bassa senza rispondere. Quegli alberi erano i più belli di tutti per noi, avevano un tronco molto grande e la corteccia rugosa e ricoperta da muschi umidi e secchi. I rami si diramavano a destra e a sinistra, erano ottimi per arrampicarsi, sedersi e da lassù fantasticare o leggere. Tra i rami c'erano molti nidi di uccelli e scoiattoli che ogni tanto balzavano qua e là come delle molle. Il parco era bellissimo, gli uccelli svolazzavano come le farfalle di mille colori. Nella fontana i pesci rossi e bianchi nuotavano felici, contenti e spensierati. Il parco ospitava un intricato labirinto e vicino c'erano degli scivoli contornati da un boschetto dove giocavamo a nascondino. I giardinetti erano fantastici grazie agli alberi e non li potevamo immaginare senza, addirittura con un supermercato al centro!

Così noi andammo dal sindaco per dirgli che dei malfattori volevano abbattere gli alberi per costruirci un supermercato, quindi lui andò a controllare.
Intanto noi bambini cercammo di pianificare qualcosa subito. Flavio urlò: 
“Possiamo scambiare la benzina con l'acqua saponata, così la motosega non si accenderà!”. 
In coro rispondemmo: 
“Bravo, bella idea! Andiamo!”.

Di notte ci riunimmo per sabotare la motosega poi ce ne andammo a dormire. Il giorno dopo i costruttori andavano al parco, mentre noi e il sindaco eravamo nascosti. Quelli stavano accendendo la motosega, quando noi chiamammo la polizia e la guardia forestale. I costruttori cercarono di accendere più volte quell'attrezzo, uno di loro disse: 
“ Il dado è tratto! Toglieremo tutti gli alberi...!”. 
Ma improvvisamente dalla motosega uscirono tante bolle. 



La polizia ammanettò e portò in carcere quegli imbroglioni. Noi salvammo il parco e urlammo: 
“Tutti a casa di Daniele..si banchetta!”.

A VOLTE I MORTI RITORNANO

SCENA 1 Descrizione del giardino
Torino 1960

Un vento fresco e leggero strapazzava i boccioli di rose incolte e non potate che si arrampicavano sul recinto di legno marcio e tarlato. L’edera si notava in tutti i posti: ricopriva la fontana senza acqua, arrivava perfino sui rami più alti degli alberi secolari. Solo le pietre che componevano figure geometriche davano il nome alle aiuole poiché al centro non c’erano fiori.

In questo luogo desolato della città di Torino come ogni pomeriggio andavano in quel posto a giocare dei ragazzi. Si potevano sentire le loro grida:
<<1,2,3 stella!! 1,2,3 stella!! Tana libera tutti!! GOAL, GOAL!! Canestro, canestro!!>>.
Erano questi i giochi che tenevano in vita quel posto dimenticato da Dio.

SCENA 2  L'arrivo della multinazionale
Un pomeriggio mentre i ragazzi e le ragazze giocavano udirono dei rumori strani: erano dei grandi e mostruosi caterpillar che si avvicinavano.
Alcuni operai, per conto di una grande multinazionale di supermercati, avevano iniziato a transennare il perimetro del giardino.
Quando videro i ragazzi li scacciarono con modi bruschi. Il capo cantiere con aria scortese disse ai bambini:
<<Dovete subito andarvene da questo posto>>.
Ma Laura una ragazzina di dodidi anni che non aveva mai paura di niente e di nessuno disse:
<<Noi non ci muoviamo da qui>>.
Il capo cantiere spazientito li spinse fuori e minacciò di chiamare la polizia.

SCENA 3 La riunione notturna
Dopo cena i bambini si incontrarono nel giardino in gran segreto e cominciarono ad elaborare un piano.
<<Adesso come facciamo a giocare qui è tutto transennato>>.
Esclamò Luca.
<<Possiamo togliere i bulloni alle ruote delle ruspe cosi non riusciranno a muoversi>> propose invece Alice.
<<Calma, calma!!>> disse Laura con aria sicura <<Troveremo la soluzione ora state tranquilli!>>.

Dopo aver tagliato qualche cavo entrarono e videro come gli uomini avevano ridotto il loro giardino: avevano tolto tutte le rose, tagliato alcuni alberi e tolte le panchine.
Con le lacrime agli occhi, la bocca senza espressione e le sopracciglia inclinate i ragazzi giravano per il giardino con in mano una torcia.
Ad un tratto Laura inciampò e cadde. 
Quando si chinò per raccogliere la torcia vide sulla pietra una lapide coperta d'edera, sulla pietra c'era una foto, il nome Ruggero Condò e la data di morte: 1944. 


SCENA 4 Qualcosa esce fuori dalla terra…
Laura stava provando a rialzarsi quando sentì una morsa gelida: era una mano scheletrica che le stringeva la caviglia. Laura gridò. Proprio lei che non aveva mai avuto paura di niente e di nessuno. La sua gamba ora era stretta in una morsa di ferro. Come fosse una pinza scheletrica la mano trascinava il piede di Laura verso le profondità della terra.
Gli amici della ragazza la presero per i polsi e iniziarono a tirarla ma all'improvviso dalla terra spuntò un teschio con un’incisione che partiva dalla fronte e arrivava vicino al naso passando per l’orbita. Ad un tratto la presa si allentò e i ragazzi caddero uno sopra all’altro.

Mentre il respiro pesante dei ragazzi si faceva sentire, loro strisciavano carponi vedendo quell’essere spuntare lentamente dalla terra .
Egli si incamminò verso i ragazzi che sudavano freddo quando inciampò con un ramo e finì a terra.
Per avanzare conficcava nel terreno le sue mani dotate di unghie che sembravano uncini.
Le urla dei ragazzi si sentirono a venti chilometri di distanza ed egli parlò:
<<Tacete! Siete stati voi a fare tutto questo baccano!!?>>.
<<Nnnnno nnnonn sssiamo stati noi>> disse Laura balbettando.
<<Allora ditemi chi è stato sennò vi decapito e vi lascio qui a marcire per secoli>>mugugnò il morto vivente.
<<Nnnnnnonn sssiamo stati nnoi ssono stati degli uomini per conto di una grande multinazionale che qui vuole costruire un immenso supermercato, vogliono toglierci questo giardino>>.
Continuò Laura con il cuore in gola mentre le gocce gelide di sudore calavano lentamente come se anch’esse avessero paura del fantasma.


SCENA 5 La storia di Ruggero Condò
Ma che cos'era quel cadavere che si era rianimato dalle viscere della terra? Un fantasma, uno zombie? Ebbene Laura e gli altri non potevano credere ai loro occhi perché quello che avevano davanti era un non-morto, un cadavere resuscitato che non trovava pace.
<<Chi sei?>> domandò la ragazzina: <<E perché eri sepolto vicino a quest'albero?>>

Lui si drizzò in piedi e iniziò con voce profonda:
<<Mi chiamo Ruggero Condò e sono un partigiano. Nel 1943 ero a capo di una brigata che si chiamava Garibaldi, avevo solo 19 anni, ma c'erano tanti ragazzi e ragazze della mia stessa età. Non sopportavo il fascismo ed odiavo i nazisti. Venivo dalla Calabria, fuggivo dalla guerra e scappavo con la mia famiglia. Mi rifugiai in Piemonte. Una notte fui catturato dai tedeschi e venni incatenato da loro a quest'albero che vedi. Mi torturarono per ore perché volevano che rivelassi loro i nomi dei miei compagni e il nostro nascondiglio. Ma io Ruggero non parlai e cosi mi fucilarono. I miei compagni allora mi seppellirono in questo giardino>>.

SCENA 6 Il sabotaggio
Laura in quel momento era molto triste e sorpresa, ora le sembrava tutto così reale, adesso che Ruggero aveva raccontato la sua storia avevano una ragione in più per mantenere intatto il giardino. Cominciò a spiegargli che una famosa multinazionale aveva intenzione di costruire
un supermarket, proprio su quel terreno, e che il suo gruppo di amici era intenzionato a fermarli. Ruggero appena sentì queste cose, per lui orribili visto che la sua tomba sarebbe stata spazzata via d'un colpo, diventò furioso e disse:
<<Dobbiamo fermarli. Insieme distruggeremo i macchinari degli operai! Io vi aiuterò>>.
Si sedette ai piedi dell’albero e chinò la testa: sembrava morto più di quello che era. Così iniziarono a buttare giù alcune idee per sabotare tutte le macchine.

All’improvviso a Laura venne in mente un’idea:
<<Potremmo mischiare farina, acqua e zucchero e gettarli nel serbatoio delle macchine. Ma come facciamo domani mattina a entrare nel cantiere senza essere visti?>>.
Ruggero propose loro di prendere tutto il necessario e di rimanere al sicuro in un nascondiglio vicino a una siepe. 

Laura si offrì per andare a casa a prendere cinque pacchetti di zucchero utili per compiere quell'operazione di sabotaggio. Ogni ragazza e ogni ragazzo portò qualcosa, chi l'acqua, chi la farina, chi una coperta per ripararsi dal freddo della notte. Lottare per uno scopo comune li aveva uniti e reso molto solidali tra loro. Grazie alla forza di Ruggero riuscirono ad aprire i serbatoi delle macchine e vuotarono tutto quello che avevano portato all'interno. I ragazzi andarono a dormire mentre il morto vivente rimase lì nascosto ad aspettare il canto del gallo e l’arrivo degli operai.

SCENA 7 L’esplosione
Al sorgere del sole, Ruggero svegliò i ragazzi. Gli uomini accesero i macchinari ma nessuno riusciva a partire. Sbigottiti i lavoratori non sapevano cosa fare quando a un tratto Ruggero e Laura sbucarono dalla siepe. Gli uomini impallidirono davanti al cadavere che camminava verso di loro e fuggirono via dalla paura. 

Ruggero tra le mani aveva una bomba artigianale, una vera bomba carta che aveva fabbricato durante la notte, una di quelle che faceva durante gli anni della Resistenza partigiana, la rigirò e la lanciò contro uno dei più grossi escavatori.

Si sentì un botto tremendo. 

Gli operai si diedero tutti alla fuga e non tornarono mai più. Anche Ruggero quando ebbe salutato i ragazzi e stretto la mano a Laura in segno di riconoscenza ridiscese nelle profondità della terra.
Da quel giorno si sparse la voce che il giardino era infestato dai fantasmi. Laura intanto crebbe e studiò all'Università alla facoltà di Storia, quando fu adulta fece delle ricerche e scoprì la vera storia del partigiano Ruggero Condò. 
NB: Il nostro è un racconto di fantasia ma Ruggero Condò è esistito davvero anche se la sua storia è un po' diversa. Il partigiano Condò fu ucciso, si racconta, nei forni crematori di Mauthausen, in Austria, poiché è bene ricordarlo: non morirono solo ebrei durante l'oppressione nazifascista ma tutti coloro che lottavano per la libertà.